La storica acciaieria di Terni, l’Ast, è ufficialmente sul mercato. Nata nel lontano 1884, da 36 anni è passata nelle mani dei tedeschi di ThyssenKrupp, uno dei gruppi industriali del settore acciaio più importanti al mondo.

Ebbene, l’Ast sembra non rientrare più nei piani del colosso tedesco che ormai reputa “non-core” l’attività della controllata italiana. L’azienda di Terni finisce quindi in vendita, ipotesi partita già alla fine del 2018.

A questo punto ci sembra strano che l’annuncio sia stato dato in concomitanza con la notizia di un ipotetica partnership tra ThyssenKrupp e la divisione “Naval” della nostra Fincatieri. Se ti interessano informazioni sulla questione, leggi anche: “Fincantieri progetterà sottomarini con ThyssenKrupp?”.

La proposta fatta a Fincantieri potrebbe servire a distogliere l’attenzione dalla vendita di Ast? Potrebbe essere una strategia creata “ad hoc” per ammortizzare l’uscita di Ast dal gruppo tedesco?

Probabilmente no. ThyssenKrupp ha infatti confermato il ri-asset e la proposta inviata a Fincantieri. Ma la fuga del colosso tedesco in piena pandemia, viene reputata inaccettabile dai sindacati italiani.

Ast: il focus sull’azienda

La forza-lavoro di Ast è attualmente composta da 2300 dipendenti diretti (ovvero impiegati negli stabilimenti) e circa 1500 dipendenti indiretti che lavorano invece per le società partner. Tra questi c’è anche chi ha avviato piani di investimento e immaginato un futuro al fianco di Ast.

Ora, dopo la decisione di ThyssenKrupp, cambierà tutto. Per il momento non sono stati annunciati esuberi o rescissioni di contratti con i fornitori, ma in futuro potrebbero arrivare.

E’ questa la preoccupazione dei sindacati italiani, che hanno già reputato inaccettabile la decisione presa dal colosso tedesco. Immediatamente è stata inviata una richiesta di sospensione della procedura di vendita, e la richiesta a ThyssenKrupp di assumersi le proprie responsabilità.

Lo stesso gruppo tedesco aveva ribadito più volte, anche ad inizio anno, di voler continuare ad investire sullo stabilimento di Terni ritenuto “strategico”. Ma evidentemente ora si sta scontando l’impatto con il Covid-19.

Ricordiamo che l’Ast rappresenta il 15% del PIL dell’Umbria, e impatta per il 60% sul PIL dell’intera provincia. Oltre ad essere anche un’azienda rilevante per l’intero panorama siderurgico nazionale.

La joint-venture a trazione italiana

Difficile comunque ipotizzare una chiusura di Ast, crediamo più che altro in una nazionalizzazione. In fondo parliamo pur sempre di un’azienda che produce oltre 1 miliardo di euro di ricavi all’anno.

In alternativa si parla già di una joint venture tutta italiana composta da Marcegaglia, Gruppo Arvedi, e Arcelor Mittal Italia. Proprio quest’ultima è particolarmente interessata a questa operazione, infatti l’attuale a.d. della divisione italiana del colosso dell’acciaio sta spingendo per la joint venture.

Si tratta di Lucia Morselli, nota dirigente d’azienda che ha ricoperto il ruolo di amministratore delegato di Ast prima di passare ad Arcelor Mittal Italia.

Anche Cassa Depositi e Prestiti dovrebbe fare la sua parte, pronta ad entrare nel capitale delle aziende italiane (non solo in quello di Ast) per evitare la svendita ad imprenditori esteri.

Insomma sta per partire una nuova vita per Ast che, secondo indiscrezioni, si concentrerà maggiormente sull’acciaio inox creando insieme agli altri colossi del settore un polo d’eccellenza Made in Italy.