E’ ancora caos su alcune serie di buoni fruttiferi emessi da Poste Italiane. Nel corso del 2019 abbiamo più volte elogiato l’istituto italiano per il suo andamento in borsa, per gli ottimi prestiti e finanziamenti proposti, per l’attenzione verso l’innovazione (pagamenti p2p e servizi online), e infine per il servizio postale migliorato molto negli ultimi anni.

Ma ora invece, siamo pronti a sottolineare la presunta scorrettezze di Poste Italiane verso i propri clienti. Ed è la seconda volta, poche settimane fa vi avevamo parlato del caso di una risparmiatrice veneta a cui non è stato “cambiato” un buono fruttifero da 1 milione di euro perché ormai in prescrizione (Leggi: “Buono fruttifero postale: truffa-scaldalo di Poste Italiane”).

E tutto ciò senza avvisare l’interessato. Insomma, Poste Italiane può infatti retroattivamente sui buoni fruttiferi e modificarli (applicando quindi tassi maggiorati).

Buoni fruttiferi: il caso

Innanzitutto ci teniamo a precisare che non stiamo accusando noi Poste Italiane, bensì ci rifacciamo a quanto dichiarato dall’Antitrust. Ci è voluto ben poco infatti per far scoppiare il caos, a Novembre dello scorso anno è stato aperto un provvedimento per pratiche commerciali scorrette proprio dall’Antitrust. E oltretutto questo provvedimento non riguarda il caso dei buoni fruttiferi ma altro.

Comunque stavolta è toccato ad un risparmiatore della provincia di Belluno, che nel 1989 acquistò due buoni fruttiferi da 5 milioni di lire ciascuno. Oggi, nel 2020 (cioè passati i 30 anni), la cifra da incassare sarebbe dovuta essere 61,719,45€, per un totale di 123.438,90€. E invece quanto ha incassato il risparmiatore? Solo 27.000€.

La presunta pratica scorretta

In pratica sul retro del buono è presente una tabella (già obsoleta nel 1989, anno della sottoscrizione), che indica i tassi di interesse maturati nel corso degli anni. Ebbene, si tratta però di buoni delle serie precedenti (che non sono stati sostituiti con i nuovi) che presentavano tassi più favorevoli. E allora Poste Italiane si è limitata ad applicare un semplice timbro per aggiornare il buono. Senza mettere il risparmiatore in condizione di sapere quanti interessi effettivamente maturerà il buono.

In quegli anni Poste Italiane lanciò buoni fruttiferi di serie “P” e “O”, senza modificare la vecchia serie “Q”, ma applicando un semplice timbro di fianco.  Ecco che allora il buono fruttifero in questione è diventato “QP”. Oltretutto, i timbri risultano incompleti e riportano il rendimento dei primi 20 anni, e non quello dal 21° al 30°. Ovviamente si tratta del lasso di tempo in cui avrebbe fruttato di più, circa 900€ al mese. Che il risparmiatore in questione non ha ricevuto.