10 marzo 2025, la data che nessuno voleva cerchiare
Ogni tanto accade così. Senza un allarme vero. Una linea spezzata sui grafici, un valore che si sposta troppo velocemente. Poi un altro. E mentre guardi Tesla precipitare, ti rendi conto che non sei solo tu a osservare. È l’intero mercato che smette di respirare per un secondo. E quando ricomincia, qualcosa è cambiato.
È stato il peggior lunedì dal 2022. Il 10 marzo 2025. Il giorno in cui le Magnifiche 7 hanno perso il loro alone di intoccabilità.
La fotografia dei numeri (per chi ama contarli)
- Tesla: chiude a -7,95%, dopo un calo intraday oltre il 15%. Bruciati 100 miliardi di dollari di capitalizzazione negli ultimi due mesi.
- Dow Jones: -2,08%
- S&P 500: -2,7%, alla settima oscillazione sopra l’1% negli ultimi otto giorni. Giù del 7,8% dai massimi del 19 febbraio.
- Nasdaq: -4%
- Apple, Meta, Alphabet, Nvidia e Amazon: perdite intorno al 5%
- Microsoft: limita il rosso al -3,5%
- Bitcoin: scivola sotto gli 80.000 dollari, dai 106.000 di dicembre
- Rendimenti Treasury decennali: scesi al 4,21%, erano al 4,80% a gennaio.
Tesla, musk e il gioco delle maschere
Per un po’ è sembrato un vantaggio. La stretta relazione tra Elon Musk e Donald Trump. Un’alleanza, qualcuno l’ha chiamata. Che ha portato a pensare che Tesla avrebbe cavalcato l’onda post-elettorale come un predatore che ha fiutato il sangue.
Invece, è successo qualcosa di diverso. La figura del Musk politico ha iniziato a pesare sul Musk imprenditore. L’Europa ha stretto i denti. Le vendite delle e-car sono scivolate verso il basso, come se il mercato avesse deciso di punire le opinioni personali del fondatore, e non la qualità delle sue auto.
È un pensiero che rimane appeso nell’aria: quanto vale un brand, quando si fonde con una persona? E se quella persona è divisiva, quanto diventa fragile il brand?
Le magnifiche 7, da mito a meccanismo
C’è un momento, nella storia di ogni gigante, in cui il mantello dell’invincibilità si impiglia da qualche parte. È bastata Tesla, stavolta. Il resto è stato effetto domino.
Apple, Meta, Alphabet, Nvidia e Amazon: tutte giù di circa il 5%. Microsoft ha perso meno, ma ha perso. E non si può ignorare il fatto che siano tutte insieme in questa spirale.
Non è solo un tema di vendite, di utili, di guidance riviste. È la percezione. I giganti tecnologici erano il rifugio. Ora, per qualcuno, sembrano solo troppo esposti.
I dazi, le tariffe e il ritorno dei muri
Il presidente Trump ha confermato l’entrata in vigore dei dazi su Messico e Canada, la prossima settimana. Le misure contro la Cina sono già operative, al 10%. E Pechino risponde, prevedibilmente. Ma ogni ritorsione è diversa. A volte è silenziosa, a volte no.
I mercati temono l’incertezza. Non tanto l’impatto immediato dei dazi – ci sono modelli per quello – quanto il terreno che si sposta sotto i piedi mentre cammini. E se sei un investitore, ogni passo diventa un rischio calcolato con margine d’errore crescente.
Nvidia è in mezzo a questa tempesta. Le restrizioni all’export minacciano la sua capacità di vendere chip avanzati per l’intelligenza artificiale ai clienti cinesi. La domanda è: quanto può reggere la crescita di un colosso dell’AI senza quel mercato?
Il rifugio nei treasury, come nel 2008 (ma è il 2025)
Quando la marea scende, si vede chi ha costruito con sabbia. E così, gli investitori si sono spostati sui titoli del Tesoro USA. Non perché li amino. Ma perché li rispettano.
Il rendimento dei decennali è sceso al 4,21%, un lento ritorno verso l’idea che la sicurezza non è mai gratuita. A gennaio si parlava del 4,80%, ma il vento ha cambiato direzione. E l’America, anche quella finanziaria, si è adattata.
Bitcoin, l’euforia che si spegne
A dicembre era sopra i 106.000 dollari. Adesso è sceso sotto gli 80.000. La narrazione del “bene rifugio” digitale si è incrinata. Non è un crollo, ma è un declino che parla chiaro: quando il rischio diventa sistemico, il digitale non basta a sentirsi protetti.
E qui si apre un’altra questione: il Bitcoin è ancora un asset per chi fugge o per chi spera?
Una crisi o solo l’inizio di qualcosa che non abbiamo capito?
La domanda rimane sospesa. Non perché manchino risposte, ma perché sono troppe. Gli oscillatori tecnici dicono una cosa, le conference call un’altra, i corridoi dei fondi un’altra ancora.
Forse è solo un’altra correzione. Forse è un segnale. Forse, come sempre, è solo il mercato che si muove.
Ma il 10 marzo 2025, a Wall Street, è sembrato più di così.