Il prossimo 17 settembre la Federal Reserve potrebbe dare il via a una nuova fase della sua politica monetaria con un atteso taglio dei tassi di interesse. Secondo la maggior parte degli analisti, infatti, l’istituto guidato da Jerome Powell procederà a una riduzione di 25 punti base del costo del denaro, nel tentativo di sostenere un’economia americana che mostra segnali di rallentamento.
Le recenti dichiarazioni del presidente della Fed, le pressioni della Casa Bianca, i dati deludenti sull’occupazione e l’inflazione in risalita alimentano le attese di una svolta accomodante.
Ma quanto peserà davvero la decisione della Fed sui mercati? E quali rischi si nascondono dietro una politica di allentamento monetario in uno scenario macroeconomico ancora fragile?
Le dichiarazioni di Powell aprono al taglio dei tassi
Durante il simposio di Jackson Hole dello scorso 22 agosto, Jerome Powell ha lasciato intendere un possibile cambiamento di rotta. Dopo mesi di rigidità orientata a combattere l’inflazione, il presidente della Fed ha affermato che “le prospettive di base e il mutato equilibrio dei rischi potrebbero giustificare un adeguamento della nostra politica monetaria”.
Parole che, pur mantenendo la retorica della prudenza, sono state interpretate dai mercati come un chiaro segnale: un taglio dei tassi è ormai probabile.
Wall Street ha reagito prontamente: dal 22 agosto l’indice S&P 500 è salito del 3,4%, mentre il Nasdaq ha guadagnato circa il 5%. Il mercato sta già scommettendo su una Fed più morbida, e questo pone ulteriore pressione sul board della banca centrale.
Occupazione debole, inflazione in crescita: lo scenario macro spinge la FED
I dati macroeconomici di agosto hanno confermato le preoccupazioni: il mercato del lavoro rallenta, mentre i prezzi continuano a salire. Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è salito al 4,3% rispetto al 4,2% di luglio, e i nuovi posti di lavoro creati nei settori non agricoli si sono fermati a quota 22 mila, ben al di sotto delle aspettative degli analisti.
Nel frattempo, l’inflazione ha accelerato, toccando il 2,9% annuo contro il 2,7% del mese precedente. Un aumento mensile dello 0,4% che complica ulteriormente le decisioni della Fed: da un lato è necessario stimolare l’economia, dall’altro si rischia di alimentare ulteriormente la spirale inflattiva.
Il rischio stagflazione e le parole di Jason Furman
A rendere il quadro ancora più complesso c’è lo spettro della stagflazione. L’ex consigliere economico di Barack Obama, Jason Furman, ha scritto su X (ex Twitter): “La stagflazione è nell’aria”. Una dichiarazione che riassume perfettamente il dilemma della Fed: tagliare i tassi potrebbe far ripartire la crescita, ma anche rafforzare l’inflazione. Lasciarli invariati o alzarli potrebbe invece frenare ulteriormente l’economia.
Il rischio stagflazione, combinazione di crescita debole, inflazione alta e disoccupazione crescente, è uno dei peggiori scenari per qualsiasi banca centrale. E proprio per questo la riunione del 17 settembre sarà cruciale per i mercati e per la credibilità della Fed.
La FED sotto pressione politica: il caso miran e la nuova composizione del board
Oltre agli aspetti economici, la Federal Reserve è alle prese con una partita politica delicatissima. Dopo le dimissioni di Adriana Kugler, la Casa Bianca ha proposto la nomina di Stephen Miran, attuale consigliere economico di Donald Trump, come nuovo governatore della Fed. La nomina, già approvata dalla Commissione Banche del Senato, sarà votata a breve dall’aula.
Se confermato, Miran garantirà ai repubblicani il controllo di 4 dei 7 seggi nel board della Fed. E la possibilità di sostituire anche Lisa Cook potrebbe portare a una maggioranza repubblicana. Questo scenario apre interrogativi pesanti sull’indipendenza della banca centrale e sulla sua futura direzione politica.
Cosa aspettarsi dal 17 settembre? il mercato scommette su un taglio “soft”
La quasi totalità degli analisti si aspetta un taglio dei tassi, ma non c’è certezza sull’entità. La previsione più condivisa è quella di una riduzione di 25 punti base, un approccio “soft” che mira a dare un segnale senza scatenare reazioni eccessive. Sarebbe il primo taglio del 2025, dopo che i tassi sono rimasti nel range 4,25%-4,5% dallo scorso dicembre.
Tuttavia, le incognite sono molte. Oltre al contesto geopolitico internazionale, con i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, pesa anche l’attesa per le nuove proiezioni della Fed su inflazione, PIL e mercato del lavoro. La comunicazione che accompagnerà la decisione sarà dunque altrettanto importante quanto la decisione stessa.