Electronic Arts, una delle più grandi aziende del settore videoludico a livello globale, sta per essere acquistata da un consorzio guidato dal fondo sovrano dell’Arabia Saudita in un’operazione dal valore record di 55 miliardi di dollari. Si tratta del più grande buy-out della storia nel settore dell’intrattenimento digitale, che vede coinvolti anche Affinity Partners – il fondo gestito da Jared Kushner, genero del presidente americano Donald Trump – e Silver Lake, un’importante società di investimento della Silicon Valley.
L’accordo, che valuta ogni azione EA 210 dollari, segna un ulteriore passo nella strategia saudita per espandere la propria influenza nel mondo del gaming e degli eSports, settore in pieno fermento.
Ma cosa significa davvero questa acquisizione per il mercato videoludico globale? Quali saranno le conseguenze per gli azionisti, i dipendenti e i giocatori? E soprattutto, l’ingresso dell’Arabia Saudita nel controllo di un colosso come EA può cambiare gli equilibri culturali e creativi del settore?
L’espansione saudita nel gaming: investimento strategico o soft power?
L’acquisizione di Electronic Arts da parte del fondo sovrano saudita (Public Investment Fund, PIF) non è un’operazione isolata, ma parte di una strategia molto più ampia. Negli ultimi anni, l’Arabia Saudita ha investito massicciamente nel mondo del gaming e degli eSports, con l’obiettivo dichiarato di diversificare l’economia nazionale – oggi ancora troppo dipendente dal petrolio – e migliorare la propria immagine internazionale.
Il regno detiene già quote significative in aziende come Nintendo, Capcom e Activision Blizzard, e punta a trasformare Riyadh in un hub globale per gli eSports, culminando nell’organizzazione degli Olympic Esports Games nel 2027.
Dietro questi investimenti c’è però anche una precisa strategia di “soft power”: migliorare la percezione internazionale del paese attraverso l’intrattenimento e la tecnologia, nonostante le continue critiche su diritti umani, censura e repressione politica. Con EA, l’Arabia Saudita non solo estende il suo portafoglio economico, ma acquisisce anche un simbolo culturale globale, con un’enorme community di fan, franchise storici e un’enorme capacità di influenza sui contenuti videoludici.
EA torna privata: più libertà creativa o tagli e controllo ideologico?
L’accordo prevede che Electronic Arts venga ritirata dalla Borsa, diventando una società privata. Questa mossa apre nuove possibilità per il colosso videoludico, che potrà riorganizzare le proprie strategie senza dover rispondere ogni trimestre agli azionisti e agli analisti finanziari. In teoria, ciò dovrebbe favorire decisioni di lungo periodo, innovazione e maggior rischio creativo, liberando EA dalla pressione di dover “piacere” a Wall Street.
Tuttavia, la realtà potrebbe essere molto diversa.
Secondo alcune indiscrezioni, l’azienda avrebbe già avviato tagli al personale nei mesi precedenti alla conferma dell’acquisizione. Storicamente, quando una società pubblica viene privatizzata, si assiste spesso a politiche di contenimento dei costi: licenziamenti, razionalizzazioni di progetti e tagli alle produzioni meno redditizie. Alcuni analisti segnalano anche un possibile impatto sui contenuti: con l’ingresso saudita nella governance, è possibile che le produzioni “più progressiste” o legate a tematiche sociali sensibili possano essere riviste, cancellate o censurate, soprattutto alla luce della cultura conservatrice del paese acquirente.
Un cambio di paradigma tra capitalismo, cultura e controllo
L’acquisizione di Electronic Arts da parte dell’Arabia Saudita rappresenta molto più di un’operazione finanziaria: è un cambio di paradigma. Un tempo, le grandi multinazionali dell’intrattenimento erano espressione quasi esclusiva dell’Occidente; oggi diventano strumenti nelle mani di paesi autoritari che, grazie a capitali praticamente illimitati, stanno ridefinendo il baricentro del potere culturale globale.
EA non è solo una software house: è un pezzo di immaginario collettivo, con franchise che hanno accompagnato intere generazioni, da FIFA (oggi EA Sports FC) a The Sims, da Battlefield a Dragon Age.
La domanda da porsi è: chi controlla la cultura digitale che consumiamo ogni giorno? L’influenza del capitale saudita potrebbe sembrare solo finanziaria, ma nel tempo potrebbe trasformarsi in qualcosa di più profondo, incidendo sulle storie che vengono raccontate, sui personaggi che vengono rappresentati, e su cosa si può o non si può dire nei giochi che milioni di persone acquistano, giocano e condividono.