Un terremoto ha scosso i vertici della finanza italiana: MPS ha conquistato la maggioranza assoluta di Mediobanca, travolgendo ogni resistenza e segnando un cambio di paradigma storico per Piazzetta Cuccia. A partire dal 15 settembre, l’istituto senese diventerà ufficialmente l’azionista di controllo della banca milanese, catapultandosi al centro del potere finanziario che per decenni ha influenzato le sorti delle Generali.
Si tratta di un’operazione epocale, destinata a ridisegnare gli equilibri tra banche commerciali, investment banking e partecipazioni strategiche nel panorama italiano. Ma cosa significa davvero per il sistema bancario nazionale questa fusione tra due colossi dalle storie così diverse? Chi sono i vincitori (e i vinti) in questa partita di potere? E quali potrebbero essere le conseguenze per il futuro delle Generali, dell’asset management e della governance finanziaria italiana?
L’esito dell’opas: mps oltre il 62%, obiettivo delisting vicino
Durante il periodo di adesione all’offerta pubblica lanciata da MPS, sono state conferite 506,6 milioni di azioni Mediobanca, pari al 62,29% del capitale sociale. Solo nell’ultima giornata utile – un vero e proprio rush finale – è stato apportato un ulteriore 16,5%. Questi numeri non lasciano dubbi: il mercato ha risposto in massa, premiando il progetto strategico di integrazione promosso dall’amministratore delegato di MPS, Luigi Lovaglio.
Il prossimo passo sarà cruciale. Dal 16 al 22 settembre si riapriranno i termini per aderire all’offerta residua, e secondo gli analisti è ormai altamente probabile che venga superata anche la soglia del 66,7%, quella che permetterebbe al Monte di Siena di procedere al delisting di Mediobanca tramite fusione. Questo passaggio rappresenta la chiave per accelerare l’integrazione operativa e sbloccare fino a 700 milioni di euro di sinergie e 2,9 miliardi di crediti fiscali promessi nel piano industriale.
Una logica industriale che convince il mercato
“La forte logica industriale e la creazione di valore per azionisti, stakeholder e per il sistema Paese”, così Lovaglio ha sintetizzato l’operazione, sottolineando l’importanza di unire “due eccellenze italiane” in un’unica realtà bancaria altamente diversificata e competitiva. Il mercato sembra aver dato pieno credito a questa visione, premiando la chiarezza del progetto e la capacità di execution del top management di MPS.
Anche i dipendenti di entrambe le banche vengono messi al centro della narrazione: Lovaglio li ha definiti “il vero patrimonio” dell’operazione, lanciando un messaggio di inclusione e coesione interna, fondamentale per affrontare il complesso percorso di integrazione post-fusione.
Gli azionisti chiave che hanno fatto la differenza
Ad aprire la strada all’adesione massiccia sono stati due grandi soci: Delfin (holding della famiglia Del Vecchio) e Caltagirone, che hanno conferito sin da subito il loro 30% complessivo. Ma a cambiare davvero il corso dell’offerta è stato l’aumento cash di 0,9 euro per azione, deciso a inizio settembre, che ha convinto molti scettici.
Tra i nuovi aderenti figurano pesi massimi della finanza come Unicredit, Amundi, Anima, Tages, Benetton, oltre alle casse previdenziali. Si sono poi aggiunti i grandi investitori istituzionali: BlackRock, Fidelity, Vanguard, Norges Bank e altri pattisti come le famiglie Tortora e Doris (che inizialmente avevano liquidato la loro quota tramite Mediolanum).
Fine dell’era nagel: un addio inevitabile
Il Consiglio di Amministrazione di Mediobanca del prossimo 18 settembre dovrà prendere atto della nuova realtà: l’offensiva senese ha vinto. Il management guidato da Alberto Nagel non ha retto all’urto della strategia messa in campo da MPS e, con ogni probabilità, presenterà le proprie dimissioni con effetto dall’assemblea del 28 ottobre.
Nel frattempo, è già partito il cantiere per la successione. Circolano nomi pesanti: Marco Morelli (BNP Paribas AM) come possibile nuovo CEO, Vittorio Grilli (J.P. Morgan) e Luigi de Vecchi (Citi) per la presidenza. Si tratterebbe del completamento di un vero e proprio cambio generazionale e strategico ai vertici dell’investment banking italiano.
Le ricadute sulle generali: l’ultimo baluardo
Il nuovo assetto apre inevitabilmente scenari di cambiamento anche per Assicurazioni Generali, storicamente sotto l’influenza di Mediobanca. MPS diventerà infatti il custode diretto del pacchetto del 13,1% del Leone di Trieste, finora gestito proprio da Piazzetta Cuccia.
A questo pacchetto si sommeranno le partecipazioni già detenute da Delfin (10%) e Caltagirone (6,7%), due azionisti da tempo in rotta con l’attuale governance della compagnia. Per il CEO delle Generali, Philippe Donnet, e per il consiglio di amministrazione insediato la scorsa primavera, si profilano mesi turbolenti. Il progetto di fusione nell’asset management con Natixis, già poco gradito a governo e azionisti forti, rischia ora di naufragare definitivamente.
Una nuova mappa del potere finanziario italiano
Con questa mossa, Lovaglio non solo completa il suo percorso di rilancio di MPS, ma si impone come nuovo attore dominante della finanza italiana. Da “risanatore” a “conquistatore”, ha portato Siena dal rischio default al controllo di uno dei centri nevralgici del potere economico nazionale.
La storica alleanza tra Mediobanca e De Agostini si è dissolta: la holding novarese ha completato la cessione della propria quota, avviata già nel 2021. È il simbolo più evidente della fine di un’epoca. Ora il baricentro si sposta verso una banca più orientata al retail, più connessa con l’economia reale, ma con ambizioni strategiche europee e una forte influenza pubblica, considerato l’11,7% ancora detenuto dal Tesoro in MPS.