Con l’approvazione ufficiale della Commissione Europea, l’acquisizione di Versace da parte di Prada per 1,25 miliardi di euro si trasforma da ipotesi a realtà strategica, ponendo le basi per la nascita del più grande polo del lusso italiano. L’operazione, che fonde due delle maison più iconiche della moda mondiale, segna non solo una svolta economica ma anche culturale, riportando Versace sotto un controllo pienamente italiano dopo anni di proprietà estera.
L’Europa, attraverso il proprio organo antitrust, ha dato il via libera all’unione stabilendo che non esistono rischi per la concorrenza, riconoscendo così la limitata quota di mercato delle due aziende se considerate singolarmente.
Ma cosa implica davvero questa operazione per l’industria della moda? Quali saranno le ripercussioni sul mercato del lusso europeo e internazionale?
E soprattutto: riuscirà Prada a rilanciare un marchio in crisi come Versace, senza snaturarne l’anima creativa?
Il contesto regolatorio: via libera da Bruxelles
La Commissione Europea ha concluso la propria analisi antitrust autorizzando formalmente l’operazione da 1,25 miliardi di euro che consente a Prada di acquisire il pieno controllo di Versace. L’approvazione rappresenta l’ultimo passo necessario a livello regolatorio e consente la nascita del più importante conglomerato del lusso in Italia, con ricavi annui superiori ai 6 miliardi di euro.
Secondo la Commissione, la fusione non solleva problemi di concorrenza nei mercati europei, data la posizione ancora marginale che i due brand occupano singolarmente rispetto a giganti come LVMH e Kering.
Questo giudizio ha permesso un’accelerazione nell’iter dell’acquisizione, proiettando Prada verso una nuova dimensione competitiva.
Simbolismo e ritorno al Made in Italy
L’operazione ha anche un forte valore simbolico: Versace torna a essere interamente italiana dopo essere stata ceduta nel 2018 alla statunitense Capri Holdings per 2,1 miliardi di dollari. Un ritorno significativo, che ridà slancio all’identità del Made in Italy nel panorama globale del lusso.
Negli anni successivi all’acquisizione americana, Versace ha faticato a mantenere la propria crescita. Fino a dicembre 2024, il brand ha registrato un calo medio del fatturato del 20% annuo, complici la volatilità del mercato e difficoltà interne di gestione.
Questo ha inciso direttamente sulla valutazione finale dell’operazione: il prezzo di acquisto, inizialmente stimato attorno ai 1,6 miliardi di euro, è stato rinegoziato al ribasso, fissandosi a 1,25 miliardi.
Due anime stilistiche, una sola visione strategica
Sul fronte creativo, l’acquisizione segna una svolta anche per la leadership del marchio Versace. Dopo 28 anni alla guida creativa, Donatella Versace ha lasciato il ruolo a marzo 2025, mantenendo però un incarico chiave come Chief Brand Ambassador. La direzione artistica passa ora a Dario Vitale, ex design director di Miu Miu, noto per la sua capacità di coniugare visione creativa e disciplina progettuale.
Prada intende mantenere la netta distinzione tra le due anime stilistiche: il minimalismo rigoroso che caratterizza la propria identità e il maximalismo audace e provocatorio tipico di Versace.
Una strategia che, secondo Lorenzo Bertelli, chief marketing officer del gruppo, punta a valorizzare la diversità piuttosto che uniformare. Non ci sarebbero, infatti, sovrapposizioni né tra i target di clientela né tra i concept creativi dei due brand.
Le sfide del nuovo conglomerato del lusso italiano
La nascita di un gruppo Prada-Versace rappresenta la risposta più concreta dell’Italia ai giganti francesi del lusso. Tuttavia, la sfida non è semplice: consolidare due brand con eredità così forti, storie complesse e mercati differenti richiederà equilibrio, visione strategica e grande capacità di adattamento ai trend globali.
La priorità immediata sarà il rilancio commerciale di Versace, riportandolo a crescite sostenibili, rafforzandone la presenza nei mercati asiatici e americani, e rilanciandolo sul piano del retail fisico e digitale. Allo stesso tempo, Prada dovrà preservare la propria identità, continuando a innovare senza snaturare le radici del marchio.
L’unione dei due marchi potrà rivelarsi un vantaggio competitivo notevole nel medio termine, sia in termini di efficienza produttiva che di presenza sui mercati internazionali, ma comporterà anche sfide operative e gestionali di alto livello.