Francia in crisi: Lecornu si dimette dopo solo 26 giorni

Scritto da Redazione Online - 06/10/2025 - 326 visualizzazioni
Francia in crisi: Lecornu si dimette dopo solo 26 giorni

La Francia si trova nuovamente al centro di una tempesta politica ed economica. A soli 26 giorni dalla sua nomina, il primo ministro Sébastien Lecornu ha annunciato le sue dimissioni, entrando nella storia della Quinta Repubblica come il capo del governo con il mandato più breve di sempre. Un evento senza precedenti che non solo ha scosso l’Eliseo, ma ha anche avuto ripercussioni immediate sui mercati finanziari e sul già fragile equilibrio politico interno.

La nomina di Lecornu, avvenuta nel settembre 2025, era stata interpretata come un tentativo dell’Eliseo di trovare una figura capace di mediare tra le crescenti tensioni parlamentari. Tuttavia, la sua uscita di scena così repentina alimenta dubbi sulla tenuta del governo Macron e sulla direzione futura del paese.

Cosa ha davvero provocato questa crisi? Come stanno reagendo gli investitori e quali scenari si aprono ora per la Francia, tra bilanci in rosso, istituzioni paralizzate e tensioni sociali latenti?

Un mandato record per brevità: solo 26 giorni al potere

Sébastien Lecornu, ex ministro della Difesa e figura emergente della macronie, era stato scelto da Emmanuel Macron come settimo primo ministro in poco più di due anni. La sua nomina aveva suscitato un cauto ottimismo tra le fila del centrodestra, grazie al suo profilo istituzionale e alla promessa di avviare una fase di “riconciliazione nazionale“. Tuttavia, fin dai primi giorni, Lecornu si è trovato a gestire una situazione parlamentare altamente frammentata e una crescente sfiducia, sia tra i propri alleati che tra le opposizioni.

Le sue dimissioni segnano un nuovo record negativo per la Quinta Repubblica e sono il simbolo di una crisi istituzionale che sembra ormai strutturale. In meno di due anni, cinque primi ministri si sono succeduti senza riuscire a garantire stabilità politica, sintomo di un sistema ormai incapace di produrre governi duraturi.

Mercati in allarme: CAC 40 e banche in caduta

Le dimissioni di Lecornu hanno immediatamente innescato una reazione negativa sui mercati finanziari. L’indice CAC 40 ha chiuso la giornata con un calo del 2,0%, mentre le principali banche francesi hanno registrato perdite più marcate: BNP Paribas, Société Générale e Crédit Agricole hanno perso tra il 4% e il 5% del loro valore.

Anche il mercato valutario ha reagito con preoccupazione: l’euro ha perso lo 0,7% contro il dollaro, attestandosi a quota 1,1665. Ancora più significativo è stato l’aumento dello spread tra i titoli di Stato francesi e tedeschi a 10 anni, salito a 85 punti base.

Questo dato riflette la crescente sfiducia degli investitori nella solidità fiscale della Francia e nei suoi margini di manovra per il bilancio 2026.

Un’assemblea ingovernabile e la sfiducia trasversale

Durante il breve mandato di Lecornu, il governo ha incontrato ostilità da più fronti. I partiti centristi e moderati lo hanno ritenuto troppo spostato a destra, mentre i conservatori gli hanno rimproverato l’eccessiva cautela su temi fiscali e sociali. La mancanza di una maggioranza chiara all’Assemblea Nazionale ha paralizzato ogni tentativo di iniziativa legislativa.

La pressione si è intensificata con l’avvicinarsi del dibattito sulla legge di bilancio 2026. Lecornu aveva dichiarato esplicitamente che non avrebbe fatto ricorso all’Articolo 49.3 della Costituzione, il quale permette di far approvare una legge senza voto parlamentare. Una scelta eticamente apprezzabile, ma politicamente suicida in un Parlamento spaccato in tre blocchi principali.

Le minacce di sfiducia sono arrivate da tutto l’arco parlamentare, inclusi alcuni deputati considerati vicini all’Eliseo.

Il leader del Rassemblement National, Jordan Bardella, ha chiesto apertamente lo scioglimento dell’Assemblea e nuove elezioni, sottolineando la totale ingovernabilità dell’attuale configurazione.

Macron in crisi: la scommessa fallita delle elezioni anticipate

Il caos attuale affonda le sue radici nella decisione di Emmanuel Macron di indire elezioni anticipate nel giugno 2024. Una mossa che puntava a rafforzare la propria maggioranza e a bloccare l’avanzata delle forze populiste, ma che si è rivelata un boomerang. Il nuovo Parlamento uscito dalle urne è risultato diviso in tre grandi blocchi contrapposti: centristi, sinistra radicale e destra nazionalista.

La conseguenza è stata un’impasse legislativa permanente, aggravata da un clima di crescente polarizzazione sociale. Le dimissioni di François Bayrou e Michel Barnier, predecessori di Lecornu, avevano già mostrato l’impossibilità di costruire un’agenda condivisa sul piano economico e fiscale. Entrambi erano caduti per divergenze legate al bilancio statale e alla gestione del deficit.

Il nodo economico: deficit fuori controllo e urgenza bilancio 2026

Oltre alla crisi politica, la Francia si trova ad affrontare un’emergenza economica. Il disavanzo di bilancio ha raggiunto il 4,7% del PIL, ben al di sopra dei parametri fissati dall’Unione Europea. Le agenzie di rating osservano con preoccupazione la situazione, mentre Bruxelles ha già lanciato un primo richiamo formale.

Approvare la legge di bilancio 2026 entro la fine dell’anno è diventato un imperativo. Tuttavia, senza un governo stabile e senza maggioranza, il rischio di una crisi fiscale si fa concreto.

Lecornu aveva promesso un bilancio “di responsabilità”, costruito su un dialogo parlamentare trasparente, ma non ha avuto il tempo né il sostegno per realizzarlo.

Scenari futuri: verso nuove elezioni o un governo tecnico?

A questo punto, Emmanuel Macron si trova di fronte a un bivio: nominare un nuovo primo ministro in grado di ottenere una maggioranza, oppure sciogliere nuovamente l’Assemblea e tornare alle urne. Tuttavia, nuove elezioni potrebbero rafforzare ulteriormente i partiti estremi, peggiorando l’attuale frammentazione.

Alcuni analisti ipotizzano l’ipotesi di un governo tecnico di “unità nazionale” con personalità indipendenti e il compito esclusivo di approvare la legge di bilancio e garantire la stabilità fino al 2027. Un’eventualità mai sperimentata nella Quinta Repubblica, ma che oggi appare sempre meno irrealistica.

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