È ufficialmente iniziato oggi, lunedì 14 luglio, il periodo di adesione all’offerta pubblica di scambio (ops) con cui Mps tenta l’assalto a Mediobanca. Si tratta della più rilevante operazione di consolidamento bancario degli ultimi anni, un’iniziativa che promette di riplasmare gli equilibri del settore finanziario italiano.
La proposta prevede lo scambio di 2,53 azioni Mps per ogni titolo Mediobanca, con uno sconto implicito del 4,6% rispetto alle quotazioni più recenti di Piazzetta Cuccia. Il periodo di adesione durerà ben 40 giorni lavorativi, con termine fissato per l’8 settembre.
Siamo davvero di fronte a una svolta storica nel risiko bancario? Quali saranno le conseguenze per investitori, risparmiatori e per il sistema-Paese?
Le condizioni dell’offerta: cosa propone mps agli azionisti di mediobanca
L’offerta di Monte dei Paschi di Siena prevede uno scambio azionario ben preciso: 2,53 azioni Mps per ogni azione Mediobanca. Una proposta che incorpora uno sconto del 4,6% rispetto ai valori di Borsa più recenti del titolo guidato da Alberto Nagel. Siena ha scelto di sfruttare l’intera finestra temporale disponibile per le ops, fissando la scadenza al prossimo 8 settembre. L’obiettivo? Convincere una massa critica di azionisti a cambiare casacca, pur in presenza di un’offerta che, al momento, appare meno generosa sul piano finanziario.
Vuoi che proceda con il prossimo paragrafo, dedicato alle due condizioni fondamentali per il successo dell’ops? Prima però: questo ti sembra scritto bene ed efficace?
Affinché l’offerta di Mps possa andare in porto, servono due possibili scenari: o un riequilibrio dei valori di mercato, oppure un rilancio dell’offerta. Nel primo caso, basterebbe una rivalutazione del titolo Mps, magari spinta da acquisti strategici di azionisti forti, per rendere più conveniente la proposta rispetto allo sconto attuale.
In alternativa, un calo delle azioni Mediobanca—dovuto a vendite significative da parte di soci come Mediolanum o Vittoria Assicurazioni—potrebbe ridurre il divario di valutazione, rendendo l’ops più equilibrata.
L’opzione rilancio: le armi di lovaglio
Il secondo scenario contempla un rilancio dell’ops. Il CEO di Mps, Luigi Lovaglio, dispone teoricamente di un margine operativo: la banca ha a disposizione oltre 2,8 miliardi di euro di capitale in eccesso. Questo potrebbe essere impiegato per migliorare i termini dell’offerta e convincere nuovi azionisti. Mps si è posta come obiettivo minimo il 35% del capitale Mediobanca, soglia già quasi raggiunta considerando l’adesione di alcuni soci rilevanti. Senza ostacoli da parte della BCE, un ulteriore sforzo per alzare l’offerta potrebbe rientrare nei parametri di sostenibilità.
Se Mps dovesse fermarsi sotto il 50% del capitale di Mediobanca, le sinergie attese si complicherebbero notevolmente. Il prospetto informativo parla chiaro: senza una posizione di controllo formale, molte delle sinergie operative e fiscali slitterebbero di almeno 12-18 mesi. Solo una piena integrazione permetterebbe infatti l’utilizzo immediato delle DTA (Deferred Tax Assets) e l’ottimizzazione dei capitali.
Inoltre, con una quota inferiore, Mps dovrebbe consolidare gli attivi di Mediobanca ma senza benefici fiscali o sinergici pienamente realizzabili.
Gli impatti patrimoniali: il Cet1 ratio nel mirino
Un altro elemento chiave è l’impatto sul capitale regolamentare. A seconda del livello di adesione, il Cet1 ratio consolidato varia sensibilmente: dal 17,8% in caso di successo totale, fino al 15,6% nel caso si raggiunga solo il 35%. Una soglia inferiore comporterebbe un consolidamento meno efficiente del capitale, a fronte però di un aumento degli asset ponderati per il rischio. Mps si troverebbe quindi in una posizione più fragile, pur dovendo assorbire il rischio totale dell’operazione.
La risposta di Mediobanca non si è fatta attendere. Il consiglio d’amministrazione ha definito l’offerta «ostile» e «priva di razionale industriale», giudicando inadeguata la valutazione proposta.
Secondo Piazzetta Cuccia, l’integrazione produrrebbe dissinergie stimate in 460 milioni di euro in caso di fusione e fino a 665 milioni senza fusione. Il timore è che l’eventuale uscita di banker di peso e la perdita di masse in gestione annullino i benefici previsti. Inoltre, secondo le stime interne, l’85% della crescita dei profitti stimata tra 2025 e 2028 deriverebbe da Mediobanca stand-alone, e non dalla fusione.