Monte dei Paschi di Siena (Mps) ha ufficialmente assunto il controllo del 62,3% del capitale di Mediobanca, uno degli istituti più influenti del sistema finanziario nazionale. Il passaggio di proprietà è stato formalizzato con il pagamento del corrispettivo previsto nell’ambito dell’Opas (Offerta Pubblica di Acquisto e Scambio), che ha portato al trasferimento delle azioni senza vincoli o gravami.
L’operazione rappresenta un punto di svolta per il settore bancario italiano, segnando un riassetto profondo dei rapporti tra le grandi banche, degli assetti azionari e delle prospettive strategiche future.
Ma cosa significa davvero questa acquisizione per il futuro di Mediobanca e Mps? Quali attori emergono rafforzati e chi, invece, esce ridimensionato da questa operazione?
I numeri dell’operazione e l’obiettivo dell’80%
Al termine del periodo di adesione, conclusosi l’8 settembre, erano state conferite in adesione 506.633.074 azioni ordinarie di Mediobanca. In cambio, Mps ha emesso 1.283.301.577 nuove azioni ordinarie, prive di valore nominale e con godimento regolare, perfettamente allineate a quelle già in circolazione.
Si tratta di un’operazione di aumento di capitale a pagamento, effettuata in via scindibile e con esclusione del diritto di opzione.
La fase successiva prevede la riapertura dell’Opas per altre cinque sedute, con l’obiettivo dichiarato di portare Mps a detenere una quota vicina all’80% di Mediobanca. Una soglia che consoliderebbe ulteriormente la posizione dominante dell’istituto senese nella governance dell’ex banca di Piazzetta Cuccia.
Cambia la mappa del potere azionario
L’esito dell’offerta non modifica soltanto gli equilibri interni a Mediobanca, ma produce anche un profondo rimescolamento tra gli azionisti di riferimento di entrambe le realtà. Tra i principali nomi in uscita da Mediobanca spiccano Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio, e Caltagirone, che hanno aderito integralmente all’offerta, favorendone l’esito positivo. Delfin deteneva circa il 20% e Caltagirone il 10% del capitale.
Entrambi i soggetti, pur lasciando Mediobanca, si rafforzano all’interno di Mps.
Con l’emissione delle nuove azioni, Delfin salirà al 21% del capitale di Mps, mentre Caltagirone si attesterà intorno al 13%. Banco BPM, invece, subirà una diluizione della propria quota, passando dal 9% al 4,5%, mentre il Tesoro vedrà la propria partecipazione ridursi dall’11,7% a poco meno del 6%.
Finpriv esce di scena
Tra i soggetti che non parteciperanno alla nuova fase azionaria di Mps figura FinPriv, la società che riuniva azionisti storici del patto di consultazione di Mediobanca. Tra i nomi coinvolti: Generali, Italmobiliare, Pirelli, Tim, Stellantis e Unipol.
FinPriv ha infatti dismesso la sua partecipazione pari all’1,76% del capitale tramite un collocamento accelerato curato da Morgan Stanley, ufficializzando così l’uscita di scena da un quadro azionario ormai completamente trasformato.
Questa scelta segna un ulteriore segnale di discontinuità rispetto al passato, confermando la volontà di alcuni soggetti industriali di ridurre l’esposizione al settore bancario tradizionale in favore di operazioni più snelle e meno politicamente condizionate.
Il ruolo del governo e gli scenari futuri
Il governo italiano ha giocato un ruolo silenzioso ma determinante nella riuscita dell’operazione, sostenendo apertamente l’Opas come leva per rafforzare un polo bancario nazionale sotto controllo stabile e con una governance più coesa.
L’uscita parziale del Tesoro dal capitale Mps, pur riducendo la presenza pubblica diretta, avviene in un contesto di rafforzamento strategico, con l’ingresso di investitori considerati affidabili e favorevoli alla stabilità del sistema bancario italiano.
Nei prossimi mesi, l’attenzione sarà rivolta agli effetti industriali e operativi dell’integrazione, alla revisione degli assetti di comando e alla possibilità che Mps assuma un ruolo sempre più centrale in eventuali operazioni di consolidamento a livello nazionale.